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Una fotografia “vera”, fatta di cose quotidiane

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Alessia Jacobucci è una fotografa appassionata, ama raccontare le cose semplici della vita ma di grande importanza.

Breve presentazione.
«Ciao a tutti, grazie innanzitutto a voi di Altro Spazio d’Arte per avermi dato questa splendida possibilità di raccontarmi.
Mi chiamo Alessia, in arte “Tutte le mie foto brutte”. Abito da sempre nella provincia milanese, classe 1997, non sono troppo buona nell’introdurmi, preferisco siano i miei scatti a parlare per me. Considero l’obbiettivo della mia macchina fotografica il mio terzo occhio con il quale catturo indelebilmente».

Quando hai deciso di dedicarti alla fotografia e cosa rappresenta per te.
«Penso di aver iniziato a dedicarmici quando ho preso coscienza della mia persona e di quelle che sono le mie passioni, insomma in tenera età. Sin da piccola la fotografia è sempre stato un pallino fisso. Mi ricordo che mia nonna mi raccontò di quella volta (avevo circa tre anni) in cui dopo avermi lasciata sola cinque minuti, tornò e mi trovò con le gambe penzolanti dalla finestra al secondo piano, mentre smanettavo con una vecchia macchina fotografica fingendo di fotografare le montagne. Lei si spaventò a morte, io probabilmente ero talmente immersa in quell’aggeggio che nemmeno mi resi conto di essermi messa in pericolo!
Poi da piccola rompevo sempre le scatole a mio papà per farmi usare la sua compatta con la quale scattava a me e mia sorella una miriade di foto. Adoravo tornare a casa dopo le vacanze estive per poter visionare tutti assieme in salone le fotografie di famiglia scattate al mare o in montagna. Alla mia prima comunione ho ricevuto finalmente in regalo la mia prima compatta. Me la portavo sempre dietro, scattavo a raffica, qualsiasi cosa attirasse la mia attenzione, fin quando un giorno non la “uccisi” accidentalmente appoggiandola su un sasso in riva al fiume, nel tentativo di fare un autoscatto… Fu esilarante dopo vederla appesa tra i calzini e gli slip nel tentativo di farla asciugare, tentativo ovviamente vano. La conservo ancora mezza distrutta in un cassetto.
Qualche anno dopo, per i miei tredici anni, ho ricevuto un’altra compatta, della Canon, perché i miei genitori si erano stufati di vedersi sottrarre la loro da me per scattare fotografie che ritenevano stupide. Quest’ultima l’ho utilizzata fino ad esattamente tre anni fa! Con questa macchinetta posso dire di essermi avvicinata in maniera più approfondita alla fotografia, e nonostante fosse una “semplice compatta”, considero tutt’oggi alcuni scatti realizzati con quella camera tra i miei preferiti in assoluto. La portavo sempre con me, ogni scusa era buona per premere quel pulsantino e catturare un momento: i pranzi in famiglia, le gare in moto di mio papà , i pomeriggi in paese con gli amici. Per me tutto era, ed è tutt’ora, degno di essere ritratto.
Nel 2018, dopo una magnifica esperienza lavorativa fatta a Genova, dove realizzai scatti ad opere di street art, mio padre mi regalò la mia prima reflex Canon, modello basilare, rigorosamente usata, ma che è il mio attualmente terzo occhio, quello che cattura. Non ritengo sia indispensabile avere a disposizione materiale costoso o anni di studi in materia per realizzare belle fotografie, per me quello che conta maggiormente è la propensione e i sentimenti.
Per me la fotografia rappresenta la massima espressione di me stessa. Ogni volta che premo quel pulsantino, rendo immortale un attimo del mio vissuto, e nonostante intrappoli le scene negli stretti limiti di una cornice rettangolare, ogni volta che mi capita di riguardare i miei scatti torno subito con la mente lì, nel momento esatto in cui ho scattato. E’ un modo per raccontare, attraverso i miei occhi, ciò che mi stupisce, quello che mi attrae e mi evoca emozioni. In realtà sono determinati momenti a catturare me, prima che io possa fare lo stesso con loro tramite la mia macchina fotografica… Catturo dopo essere stata a mia volta catturata, per poi riproporlo al mondo».

Cosa immortali nei tuoi scatti e perché.
«A me piace immortalare quella che considero la realtà. Mi piace la fotografia vera, la quotidianità, le cose normali, quelle che abbiamo sott’occhio tutti i giorni ma che tra un impegno e l’altro ci dimentichiamo di quanto siano belle e preziose, seppur semplici, perché le diamo per scontate. I panni stesi, una sigaretta che si consuma tra le dita, un bacio rubato, una mamma che stringe il proprio figlio, le tinte fatte in casa, gli avanzi del pranzo del giorno prima… La bellezza del normale mi disarma ogni volta, ed il riuscire ad immortalare la vita reale mi permette di tenere sempre a mente quali sono le cose che veramente contano. La bellezza per me sta nel quotidiano, nel naturale. Per dirne una, non è che disdegni la fotografia ritrattistica (anzi!), dove i modelli sono ben vestiti, pettinati, truccati e seguono istruzioni precise nel posare, però ecco il mio contributo in uno shooting del genere io lo darei immortalando il backstage, gli strumenti utilizzati, i truccatori, i parrucchieri, le espressioni dei modelli tra un flash e l’altro, insomma il reale. E’ un’attrazione più forte di me, quella di eternare la verità».

Come nascono le tue immagini.
«Le mie fotografie sono essenzialmente frutto di istinto. Vedo un qualcosa che mi attira, che mi incuriosisce, o più semplicemente che mi piace, e scatto. Non sto mai a pensare al come, scatto e basta (ovviamente dopo aver sistemato i parametri della camera e tutte quelle cose noiosamente e inevitabilmente tecniche).
Inizio a ragionare un po’ di più sul come voglio che appaia l’immagine nel momento in cui mi ritrovo a post-produrla. Non vado ad intaccare più del necessario la naturalezza dello scatto, però mi piace virare leggermente la fotografia verso differenti colori che possono scaturire sensazioni diverse in chi osserva».

Cosa deve trasmettere un tuo scatto.
«Una fotografia per me funziona quando scaturisce un qualcosa in chi la osserva, anche un sentimento non prettamente positivo. Per esempio, se qualcuno dovesse dirmi: “Alessia, questa tua fotografia mi fa quasi ribrezzo” io sarei contenta, perché sentirei di aver trasmesso comunque un qualcosa a questa persona, se invece qualcun altro dovesse dirmi: “Alessia, questo scatto non mi dice proprio nulla”, probabilmente sentirei di aver quasi fallito, perlomeno con quella persona. I sentimenti nella fotografia contano più di ogni cosa per me, qualunque essi siano».

Qual è il tuo sogno artistico.
«Caspita, il mio sogno artistico, questa è difficile. Detto in tutta sincerità: non ne ho la più pallida idea! Il mio desiderio più grande forse al momento è quello di continuare a scattare per sentirmi bene con me stessa, mettermi costantemente alla prova, esercitarmi, considerando tutto sommato che ho ancora una miriade di cose da imparare. Molte persone vicine pensano io tenda a sottovalutare me stessa e i miei scatti, ma la realtà è che mi considero ancora molto acerba fotograficamente parlando. Non escludo la possibilità in futuro di frequentare dei corsi, poter fare della propria passione un lavoro penso sia una delle maggiori gratificazioni della vita, perché no, un qualcosa di simile non dispiacerebbe nemmeno alla sottoscritta, consapevole pienamente della difficoltà per raggiungere un traguardo simile. Ecco, forse è questo il mio sogno artistico, o forse oggi vi dico così, e tra un paio di giorni potrei affermare tranquillamente che mi piacerebbe viaggiare per il mondo con la mia Canon sottobraccio per rubare momenti quotidiani della vita di una signora austriaca. Insomma, stringo giornalmente la mano all’indecisione.
So giusto che la fotografia non abbandonerà la mia vita con facilità, voglio continuare a stupirmi e ad emozionarmi davanti a scene “normali” viste attraverso il mirino della mia macchina fotografica, e questo mi sento di poterlo serenamente affermare oggi, domani e anche tra qualche anno».

Stai lavorando a qualche progetto in particolare o vorresti realizzare?
«Mi piacerebbe realizzare una serie di scattiincentrati sui numerosi tabù che ancora attanagliano la società odierna. Vorrei riportare l’intimità di quelli che sono argomenti ancora forse troppo “delicati” da essere toccati. Insomma mi piacerebbe approfondire svariati concetti, qualche idea che mi bazzica in testa ce l’ho. Non so, vorrei provare a spingermi oltre a quella che adesso considero quasi la mia “comfort zone” fotografica».

Una curiosità prima di lasciarci.
«Mi considero una persona alquanto noiosa, ergo dirvi una curiosità che mi riguarda mi viene abbastanza difficile. Però posso condividere con voi il mio mantra che funge anche da risposta sempre pronta quando qualcuno indispettito mi chiede perché fotografo i sacchetti di spazzatura &co: ” La normalità è la vera rivoluzione!”».

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