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Pittura e Sequenzialismo si intrecciano in opere uniche

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Angelo Calabria in arte ACA è un pittore che racconta l’evoluzione della comunicazione artistica nell’Era dell’Informazione.

Breve presentazione.
«Mi chiamo Angelo Calabria (in arte ACA) e a questo punto della mia evoluzione artistica – che dura oramai da oltre venti anni – vorrei approfittare di questa intervista per ricostruire, per quanto mi è possibile ricordare, la catena di eventi che hanno contribuito alla nascita della mia coscienza “sequenzialista”; sfociata, ad un certo punto del mio percorso di vita, nella creazione artistica di una lingua visiva evoluta in grado di rispecchiare i progressi comunicativi della nostra epoca digitale».

Come e quando hai deciso di dedicarti all’arte.
«Nello stesso periodo in cui iniziai a frequentare la scuola superiore d’arte, nacque in me l’interesse per il computer. All’inizio, esclusivamente come strumento ludico per i videogiochi – la novità di quegli anni. A sedici anni mi regalarono un pc semi-professionale e cominciai a studiarne la programmazione. Ero letteralmente affascinato dalla possibilità di creare programmi ed effetti grafici da semplici righe di codice: per me equivaleva all’essenza della creazione. E, cosa più importante, questa lingua “sequenziale” si sposava perfettamente con la progettualità dell’Architettura, che allora mi stimolava enormemente. Però, alla luce dell’oggi, quello era soltanto un giocattolo. La vera svolta avvenne alla fine del periodo universitario (1997), quando cominciai a interagire con i computer dell’ultima generazione. Mi si aprii un nuovo mondo, nel quale decisi di formare la mia attività lavorativa: la grafica digitale. Ben presto realizzai che le competenze informatiche acquisite in questo ambito lavorativo mi tornavano utili nell’elaborazione della grammatica sequenzialista: erano due facce della stessa medaglia».

La tua pittura è legata quindi al concetto di Sequenzialismo.
«La nostra epoca – l’Era dell’Informazione (tecnologica) –, rispetto al Classicismo dei secoli passati e all’arte astratta del Novecento, è orfana di un proprio sistema linguistico codificato. Questa problematica mancanza di specifici valori espressivo-significativi, indipendenti da quelli del passato, non consente all’odierno contenuto spazio-temporale di manifestarsi in tutte le sue potenzialità comunicative.
Il Sequenzialismo, codificando a livello sequenziale il principio del “numero che c’è in tutte le cose”, ci permette adesso di sviluppare linguisticamente, in maniera completa e approfondita, questa inedita dimensione emotiva spazio-temporale ricca di contenuti. La codifica espressivo-significativa che presiede questa dimensione sequenziale-digitale si basa sul processo cognitivo del “contare direzionato”, e ciascun artista – indipendentemente dal medium tradizionale o tecnologico che utilizza – può attingere alle sue evolute risorse comunicative con rinnovato spirito creativo».

C’è un’opera alla quale sei particolarmente legato?
«Conoscevo e avevo sperimentato, sia all’Istituto d’Arte che all’Accademia di Belle Arti, i vari linguaggi dell’arte: dal disegno tecnico a quello a mano libera, dalla pittura da cavalletto alle installazioni; ma nessuna di queste esperienze aveva destato in me un serio interesse per la professione dell’artista – infatti, durante gli anni di studio non avevo mai, neanche per passatempo, realizzato qualcosa al di fuori della scuola. Non mi sentivo ancora in grado di materializzare le mie visioni. Vivevo l’arte sostanzialmente come un compito affidatomi da portare a termine, cioè senza particolari velleità creative che esulassero dall’ambito scolastico.
Tutto cambiò nel 1997, durante l’ultimo anno di Accademia – quello che avevo riservato esclusivamente per la tesi di laurea. Lì avvenne la fusione tra le due dimensioni creative sulle quali mi ero formato: quella razionale e metodica delle prime esperienze architettoniche e quella artistica, più istintiva e tormentata, che avevo coltivato negli ultimi anni. Successe, allora, qualcosa che cambiò per sempre il mio rapporto con l’Arte. Ricordo con precisione che proprio quell’anno, il pensiero di cosa avrei fatto delle esperienze artistiche maturate cominciò a risuonarmi in testa in maniera insistente e pressante. Ma non era un pensiero pratico di tipo lavorativo nell’ambito delle belle arti. Era qualcosa di simile a una voce, una eco lontana molto difficile da mettere a fuoco, che pian piano provavo a materializzare nella mia coscienza. Il mio interesse crebbe esponenzialmente. Cercai di capire cosa fosse l’Arte nell’epoca in cui vivevo e dove mi avrebbe portato questa rinnovata consapevolezza. Iniziai un periodo di riflessioni, studi e ricerche che culminarono in due eventi che si sarebbero rivelati determinanti per il futuro cammino che avrei intrapreso.
Il primo accadde quando, studiando per l’ultimo esame di Storia dell’Arte all’Accademia, mi imbattei nell’immagine di un particolare quadro. Fu come se dentro la mia testa si fosse ricollegato qualcosa. I mille pensieri fino ad allora confusi, da quel momento trovarono un percorso chiaro e definito. Il quadro in questione era “Paulo vestito da Arlecchino”, di Pablo Picasso.
A colpirmi non fu il soggetto o la composizione delle forme e dei colori, bensì le differenti zone della fattura pittorica che era organizzata per fasi chiaramente leggibili. Questa caratteristica distingueva questo quadro da tutti gli altri che avevo visto fino ad allora. Non era certo un rivoluzionario quadro cubista, ma uno di quelli intimi, familiari che l’artista aveva fatto per sé. Alcune parti, come quella inferiore e le gambe della poltroncina, erano appena disegnate con un segno leggero, nervoso; altre, come la seduta e il costume da Arlecchino, erano campiti e abbozzati con decisione; infine, altre ancora, come il volto del bambino, erano perfettamente rifinite.
Ragionando su questa “successione” delle parti, balenò nella mia mente la visione di un universo espressivo carico di possibilità, una dimensione comunicativa inedita che aspettava soltanto di essere esplorata.
Il secondo evento mi spinse con maggiore consapevolezza in questa nuova direzione. Un giorno, sfogliando una rivista d’arte fui colpito da un articolo che parlava di una mostra nella quale erano esposti una serie di disegni e quadri “non finiti” di Paul Cézanne. La singolarità dell’evento consisteva nell’allestimento: le opere erano collocate secondo una determinata sequenza che permetteva di vedere e comprendere il processo di realizzazione che aveva adottato l’artista. Incrociando ed elaborando analiticamente queste due esperienze, accadute a breve distanza l’una dall’altra, misi a punto una precisa metodologia creatrice: quella sequenzialità spazio-temporale (ancora a livello embrionale, a quel tempo) dalla quale si sarebbe sviluppata tutta la mia futura ricerca».

Cosa non deve mai mancare quando realizzi le tue opere?
«Concluse le esperienze scolastiche, potevo dedicarmi seriamente e con tutto me stesso all’Arte. Come succede spesso in questi casi, dentro di me sapevo cosa fare, ma non come farlo. Decisi allora di riordinare i miei pensieri teorici attraverso la scrittura. Iniziai a raccogliere, nei diari, i vari spunti e le riflessioni che fino ad allora avevo elaborato. In seguito, questo materiale sarebbe stato canalizzato nel sito web e nelle pubblicazioni tematiche. Scrivere, da un lato mi aiutava a scandire e focalizzare introspettivamente le varie tappe del mio percorso artistico-filosofico, mentre dall’altro – in simbiosi con la realizzazione delle opere –, contribuiva a indirizzare la dimensione espressiva “sequenzialista” verso l’esterno.
A guidarmi in questo cammino furono – allora come oggi – gli scritti di Wassily Kandinsky e Paul Klee. Di entrambi mi colpì profondamente la metodologia creatrice e l’approccio innovativo ad una lingua visiva capace di proiettarsi verso inedite speculazioni espressive a discapito di finalità comunicative acquisite. Seguendo Kandinsky, iniziai a codificare una grammatica segnica – sempre più complessa e intelligibile – che spostava i valori significativi dall’estetica formale e cromatica all’elaborazione spazio-temporale. Klee, mi indicò la strada per strutturare la lingua sequenzialista secondo le linee guida della “crescita” organica dei segni; il mio obiettivo non era più l’immagine espressiva risultante dal processo genetico, ma la leggibilità emotiva dei percorsi sequenziali realizzativi, incarnazione diretta della genesi creatrice».

Stai lavorando a qualche altro progetto?
«Sto ultimando il secondo libro – che segue il primo Il Sequenzialismo nell’Arte. Linguaggio spazio-temporale del segno. L’evoluzione della comunicazione artistica nell’Era dell’Informazione –, parte di una trilogia che trae origine dagli appunti sparsi nei diari sequenzialisti, redatti a partire dai primi anni del nuovo millennio. Il terzo libro in programma, concluderà l’argomento con i necessari approfondimenti dettati dalle evoluzioni teoriche e pittoriche che prederanno forma nel corso dei prossimi anni. La natura di queste pubblicazioni, mira ad avvicinare e rendere accessibile l’inedita dimensione linguistica sequenzialista, in grado di rivelare specificità espressive ancora in fase embrionale ma ricche di potenzialità comunicative latenti. Se il primo libro ha fatto da introduzione filosofica a questa lingua visiva, il secondo narra – in chiave introspettiva – il percorso di scoperta di questa dimensione comunicativa arrivando fino alla piena consapevolezza e padronanza degli strumenti segnici spazio-temporali, peculiari del Sequenzialismo applicato all’arte. Alla luce della strada fin qui intrapresa, il terzo volume sarà incentrato sulle caratteristiche analitiche e sintetiche della grammatica sequenziale dei segni pittorici, fino agli ulteriori sviluppi e alle svariate contaminazioni con altre discipline dell’ambito comunicativo».

Una curiosità prima di lasciarci.
«Diverse sono le fasi evolutive che la grammatica sequenzialista ha attraversato in questi anni, definendosi e ridefinendosi in base alle funzionalità comunicative che hanno presieduto il suo sviluppo.
Si possono individuare tre periodi principali:
1) quello Alfabetico, con una sequenzialità elementare, dove il segno, in chiave linguistica, è assoluto – cioè riferito esclusivamente al dualismo spazio-temporale avanti / indietro e contiguo / non contiguo – ed è organizzato ancora secondo una finalità comunicativa estetica alquanto rilevante;
2) quello Sintattico, con una sequenzialità composita, dove il segno, in chiave linguistica, è ancora assoluto – riferito adesso al dualismo spazio-temporale senso orario / senso antiorario e al percorso contiguo / non contiguo – ma è organizzato secondo una finalità comunicativa estetico-sequenziale ibrida;
3) quello Grammaticale, con una sequenzialità che con l’affinarsi della ricerca raggiunge una leggibilità più complessa, dove il segno, in chiave linguistica, diventa stratificato – riferito specificamente a tutte le possibilità spazio-temporali generabili – ed è organizzato chiaramente con una finalità comunicativa sequenziale schematizzata e dominante.
Naturalmente, tra un periodo e l’altro non ci sono passaggi netti, ma opere di transizione che mostrano un processo di ricerca che mira a elaborare un parametro linguistico digitale, ancora in divenire, capace di portare la nostra coscienza visiva evoluta verso una rinnovata conoscenza sensibile in linea con gli sviluppi comunicativi della nostra epoca».

In copertina: “Multi-Elaborazione: Percorso Spazio-Temporale Espressivo. Conflitto”
2011 acrilico e smalto su tela cm 100×150 – DCCXC-790

Scopri il video che gli abbiamo dedicato

I link dell’artista

“Elaborazione: Percorso Spazio-Temporale Espressivo. Corrente Alternata (-)”
2008 smalto su tavola cm 90×90 – CCLXVIII-268
“Multi-Elaborazione: Percorso Spazio-Temporale Espressivo. Guarigione”
2011 acrilico e smalto su tela cm 100×150 – DCCXXXII-732
“Elaborazione Spazio-Temporale: Paesaggio Soleggiato”
2021 smalto su tela cm 80×120 – MDCCCXLII-1842

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