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Pittura e nuoto, una riflessione sul mondo di oggi

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Sofia Fresia è una pittrice che ha scoperto la sua grande passione per l’arte grazie ai musei. La pittura l’ha aiutata ad affrontare un periodo difficile della sua vita.

Breve presentazione.
«Mi chiamo Sofia Fresia, ho 29 anni e ho da poco terminato gli studi di pittura presso l’Accademia Albertina di Torino, città dove vivo e lavoro».

Quando hai deciso di dedicarti all’arte.
«Sin da piccola i miei genitori mi hanno abituata a frequentare musei ed esposizioni d’arte, pur trasmettendomi la convinzione che quella dell’artista fosse una figura relegata al passato. Per la mia famiglia l’arte è sempre stata appannaggio del tempo libero, ciononostante durante gli anni della scuola mi hanno sostenuta nella pratica di diverse espressioni artistiche, dal teatro alla pittura alla musica. La visita della mostra “Gli Impressionisti e la neve” (2005) mi ha avvicinata in maniera decisiva alle arti visive, tuttavia non ho avuto la possibilità – o meglio, il “permesso” – di frequentare il liceo artistico, quindi ho deciso di continuare da autodidatta finché la pittura non si è rivelata cruciale nell’affrontare un lungo ricovero ospedaliero. Dipingere ha riacceso in me una scintilla di interesse per la vita e mi ha fatto capire che esistono buoni modi per comunicare anche al di là delle parole, che in quel momento mi parevano inutili perché nessuno sembrava disposto a prendermi sul serio. Ho iniziato a prestare attenzione alle piccole cose e a osservare più attentamente il mondo intorno a me, immaginando come riportarlo su carta. Dopo la laurea in Infermieristica (2014) ho deciso di iscrivermi all’Accademia Albertina di Torino, convinta che se la pittura mi era stata di grande aiuto avrebbe potuto esserlo anche per altri attraverso i miei lavori».

Tu usi riferimenti visivi al mondo del nuoto, perché e con quale stile pittorico.
«La mia serie principale di opere si intitola Pools, ed effettivamente prende spunto in maniera diretta dalla mia esperienza di atleta di nuoto per salvamento. Su questo mi sento di spendere due parole, perché prima di nuotare avevo praticato per tanti anni altri sport a livello anche agonistico, ma nessuno di questi ha lasciato un segno tale da ripercuotersi sul mio percorso artistico in maniera così spiccata. La mia esperienza di nuotatrice ha avuto inizio negli ultimi anni del liceo, quando decisi che avrei voluto entrare in una squadra di nuoto: vivevo un periodo in cui mi sembrava di riscoprire il mondo da capo e non mi ponevo nessun tipo di barriera, per quanto fossi ben consapevole del fatto che a quell’età la maggior parte dei miei coetanei nuotatori stesse smettendo piuttosto che iniziando. Il nuoto è stato per me una seconda casa, dove ho trovato una seconda famiglia e mi sono sentita capita: per questo ci sono ancora oggi molto legata e tendo a rimandare all’infinito il momento di smettere. Durante il secondo anno di accademia ho iniziato ad inserire nei miei dipinti gli attrezzi sportivi con cui mi allenavo ogni giorno, riscoprendo in parallelo il Surrealismo grazie a un corso di storia dell’arte. Conoscevo già i grandi maestri del movimento, ma non li avevo mai osservati così da vicino: nei loro lavori ho ritrovato la dimensione onirica e inconscia in associazione a un adattamento del tutto originale dello stile figurativo classico che da sempre mi affascina. Ho quindi provato a riunire questi miei due interessi artistici nelle tre tele che hanno costituito il mio progetto di tesi triennale, e da lì sono nate le prime opere della serie Pools – che sto continuando a portare avanti ancora oggi, sebbene con modalità evoluta nel tempo».

Osservando le tue opere notiamo anche esperimenti con materiali particolari e tecniche, come ad esempio con l’opera “SOS”. «Al momento sto lavorando anche a un progetto parallelo alla serie Pools che è incentrato sull’utilizzo di materiali di recupero nella pratica artistica. Le motivazioni che mi hanno spinta in questa direzione sono diverse, e la prima è sicuramente legata alla consapevolezza della necessità urgente di tutelare il pianeta in ogni suo aspetto (ero il tipo di bambina che si metteva a gridare contro chiunque lasciasse accesa un’auto ferma, anche se era della polizia). Ma probabilmente questi buoni propositi non avrebbero ancora trovato il modo di realizzarsi nel concreto se non fosse che durante il lockdown della scorsa primavera sono rimasta – come più o meno tutti – a corto di materiali artistici, dal momento che farseli recapitare a casa era diventato quasi impossibile. Ho perciò iniziato a guardarmi intorno, e vecchie federe e canovacci da cucina sono diventati i miei nuovi supporti. A quel primo lavoro intitolato Intimità ne sono seguiti altri, e a febbraio 2021 ho potuto portare avanti un progetto specifico sul recupero creativo durante una residenza d’arte a Masseria Cultura (Ba). Essendo la sede della residenza un antico casolare isolato nelle campagne dell’entroterra pugliese, ho voluto provare a lavorare sui materiali di scarto che avrei trovato sul posto: l’opera SOS è stata la prima che ho realizzato durante la mia permanenza, a partire da scampoli di tessuto che mi erano stati consegnati dai padroni di casa perché destinati a diventare stracci di riserva per la pulizia della casa. Inizialmente ho creato un patchwork che potesse essere sufficientemente grande da adattarsi a un piccolo telaio, quindi soffermandomi a guardare la trama colorata che si era formata mi è stato suggerito quasi in maniera automatica il soggetto: la lunga striscia azzurra in basso è così diventata la superficie del mare, a cui ho scelto di aggiungere dei nuotatori nell’atto di immergersi. L’inabissamento è una delle metafore che preferisco per parlare della sensazione di perdita di punti di riferimento e controllo che sembra attanagliare sempre più il nostro tempo».

Tu ami molto anche raccontare attraverso il “diario di viaggio”, ce ne parli?
«Da qualche anno ho preso l’abitudine di portare con me in ogni viaggio o escursione che faccio un piccolo taccuino, dove annoto luoghi, colori e pensieri; mi piace anche molto aggiungere delle parti scritte a corredo delle immagini, per questo ho iniziato a pensare a questi quaderni come a dei diari di viaggio. Utilizzarli mi permette di fissare in maniera più potente i ricordi di quanto non riuscissi a fare prima con la fotografia, di tenere a mente in maniera più facile itinerari e percorsi, e di avere un ‘souvenir’ del tutto originale di ogni Paese che ho la fortuna di visitare».

Come stai vivendo questo particolare momento storico.
«Se già normalmente stare al passo con i cambiamenti che caratterizzano la nostra epoca è difficile e faticoso, in questo ultimo anno la velocità si è più che triplicata. Anche io sono stata investita in pieno dagli eventi, ma la situazione ha avuto un duplice effetto. Guardando il lato positivo sto avendo molto tempo per creare, più che in qualsiasi altro momento della mia vita. La scorsa primavera durante il primo lockdown ho realizzato diversi dipinti di grande formato legati alla pandemia, ma grazie al filtro del Surrealismo ho potuto mantenere una certa distanza di sicurezza dagli eventi che mi ha permesso di esorcizzare la situazione e far fronte alle mie paure senza cadere preda della disperazione. Il lato negativo però è stato e continua ad essere la mancanza di contatto con l’esterno e con gli altri – artisti e non – che ritengo indispensabile per la crescita personale e una buona riuscita artistica. Al momento sto ancora cercando di trovare un equilibrio tra le novità che la pandemia ha portato nelle nostre vite e inizio a ritagliarmi nuovamente degli spazi con un po’ più di autonomia decisionale, sperando di riuscire a realizzare dei progetti in presenza nel prossimo futuro».

Qual è il tuo messaggio artistico.
«Nei miei lavori ricombino spesso tra loro parti della realtà che mi circonda – e in particolare dalla mia esperienza di nuotatrice – per riflettere sulla società di oggi e sulle nuove difficoltà che comporta il farne parte. Più che all’analisi delle dinamiche sociali in sé, sono interessata alle reazioni del singolo, a quello che prova e alle sue motivazioni. Tradurre in immagini ciò che sento mi dà forza e mi aiuta a far fronte alle difficoltà. Attraverso dipinti dai colori vivaci cerco di suggerire un’interpretazione dell’oggi che sia meno grigia e più propositiva, un invito a vedere uno spiraglio di luce anche in questi tempi incerti».

Cosa non deve mai mancare mentre lavori.
«Ci sono due elementi che non possono mancare: una buona illuminazione naturale e un audiolibro da ascoltare mentre dipingo o disegno».

Stai lavorando a qualche progetto in particolare?
«Sono appena rientrata in Italia dalla residenza artistica a Stöðvarfjörður, in Islanda, dove ho portato avanti un progetto con il mio ragazzo che sta per finire gli studi in fotografia all’Accademia di Brera. Il nostro lavoro si focalizza sul paesaggio islandese che diventerà il soggetto di una serie di cianotipie su cui andrò a intervenire con il colore o con il collage allo scopo di ottenere un risultato finale che sia a metà strada tra la mia pittura e la sua fotografia».

Una curiosità prima di lasciarci.
«Sono una grande appassionata di montagna fin da bambina, e dopo essere diventata Accompagnatore di Media Montagna d’estate organizzo anche escursioni nel corso delle quali sono previste soste per laboratori artistici in natura».

I link dell’artista

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