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Note cupe per scatti che toccano il puro e sincero

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Samuele Ripani è un fotografo ritrattista davvero talentuoso. I suoi scatti sono sì frutto di impegno e lavoro costante ma realizzati a persone che incontra per la prima volta, perché gli permette di avere meno filtri possibili con il soggetto.

Ciao Samuele, per chi non ti conosce, racconta brevemente chi sei.
«Ciao! Sono nato nel 2001 a San Benedetto del Tronto e, fin da bambino, grazie ai miei genitori e a mia sorella che ne erano appassionati, ho sempre avuto la possibilità di maneggiare una macchina fotografica. Tuttavia, per i primi anni della mia vita non ho portato avanti quella che sarebbe poi diventata la mia più grande passione, dedicandomi principalmente allo studio e al nuoto agonistico. Nel 2017 ho deciso di ridimensionare il tempo dedicato a queste due attività per dare sempre più spazio alla fotografia».

La fotografia è diventato il tuo mezzo espressivo, come è stato il tuo percorso.
«Il mio vero amore per la fotografia nasce quando ho scoperto la ritrattistica, genere che ho approfondito e che sto tutt’ora studiando. Dopo aver preso la decisione di diventare un fotografo, ho seguito prima un corso base di fotografia, poi uno avanzato. Ora vivo a Roma e studio all’Accademia di Belle Arti. Qualche volta organizzo incontri one-to-one. Il primo corso che ho organizzato è stato quello nel liceo linguistico che ho frequentato. Nel giro di pochi anni dall’inizio del mio percorso ho accumulato circa una quindicina di pubblicazioni su diverse riviste di fotografia di ritratto (italiane, americane, ma anche un po’ in giro per il mondo) e sono stato esposto a Venezia (1 Aprile – 12 Giugno) e Roma (3 Giugno – 26 Giugno)».

Perché la fotografia ritrattistica.
«Il ritratto è ciò che più si avvicina alla mia visione razionale e realistica del mondo. Per esprimermi non voglio disegnare o dipingere ad esempio (nonostante spesso faccia entrambe le cose per diletto), perché per me queste due arti rendono ancora più vago la visione di cose già di per sé fin troppo astratte. In precedenza ho sperimentato la paesaggistica e la street, ma è nel ritratto che riesco veramente a creare qualcosa di mio e di cui riesco ad essere soddisfatto e più “leggero”».

Come descriveresti il tuo stile.
«Non riesco a dare una definizione precisa al tipo di foto che scatto perché non ho mai sentito il bisogno di trovare uno stile che mi caratterizzasse. In molti hanno definito il mio modo di ritrarre cupo, triste, ma anche puro e sincero. Forse sono tutte queste cose messe insieme… e poi va a finire che sono solo foto nate dalla fantasia di un ragazzo insoddisfatto!».

Come nascono i tuoi scatti oggi e che differenza c’è rispetto all’inizio del tuo percorso.
«In pochissimo tempo, dall’inizio del mio percorso ho stravolto completamente il mio modo di scattare foto ad altre persone. Prima scattavo esclusivamente per “staccare la spina”, uscendo solo con persone a me veramente vicine e strette. Studiando a tavolino le foto da realizzare volevo vedere il mondo con altri occhi cercando attraverso luci, colori e pose qualcosa che non avevo ancora visto e che ero contento di aver creato con le mie mani. Tuttavia, tutto ciò da cui volevo scappare attraverso la fotografia ha iniziato a influenzare i ritratti che scattavo, portandomi a un blocco e a una “noia” per la macchina fotografica. Ho poi deciso di tirar fuori con la forza attraverso una foto quello che mi turbava. La catarsi che ne è derivata è ciò che mi ha spinto a cercare una forma di comunicazione migliore e più profonda per raccontare i miei problemi e i miei pensieri. Oggi scatto principalmente a persone che incontro per la prima volta, perché mi permette di avere meno filtri possibili con chi ho davanti, presentandomi sul set con solo un’idea generale delle foto che voglio realizzare e l’obiettivo di farmi prendere dall’ispirazione del momento».

Tra le tue esperienze lavorative, ce n’è qualcuna che ti ha particolarmente colpito? 
«Arrivato a Roma due anni fa, ho avuto modo di scattare a varie persone e facendomi conoscere un po’ di più. Sono stato invitato e accolto a braccia aperte da dei ragazzi con un gran progetto in mente, dentro uno studio nato solo come sala musicale. Lì c’è una sinergia e un clima che non avevo mai sentito, in particolare in una città come Roma, di cui io avevo sempre temuto la freddezza. Sento possa essere un ambiente in cui potrei crescere come fotografo, dato il contatto con moltissimi artisti di vari settori, ma anche come persona».

Qual è il tuo sogno artistico.
«Ambisco a scattare per sempre, quindi spero di riuscire a trasformare quella che è ancora una passione, in un lavoro. Al di là di questo, mi piacerebbe riuscire a realizzare una bella mostra personale, sia per toccare con mano le mie foto e sentirmi soddisfatto, sia per creare un luogo dove ritrovare tutte le persone che mi hanno aiutato e mi stanno aiutando in questo percorso».

Progetti presenti e futuri.
«In questo periodo sto pensando e abbozzando molte idee che non vedo l’ora di rendere reali. Devo ammettere che è un periodo molto produttivo per me, spero di riuscire a creare di nuovo qualcosa che gratifichi me e che permetta a chi osserva le mie foto di immedesimarsi in qualcosa che ho creato io».

Cosa non deve mai mancare quando crei.
«Mentre scatto non riesco a stare senza della buona musica in sottofondo, un bel po’ di risate, chiacchiere e qualcosa da bere insieme finito lo shooting! Mi fa sorridere pensare che spesso quando scatto a qualcuno che vedo per la prima volta, poi vengo richiamato per ringraziarmi e dirmi che nonostante le poche ore di shooting sembrava fossimo amici da una vita».

Una curiosità prima di lasciarci.
«Per molti è stato (ed è ancora) difficile da credere, ma tutto quello che c’è nelle mie foto è stato effettivamente davanti la mia lente, tralasciando, ovviamente, quegli scatti in cui c’è stato un palese intervento con Photoshop (come il mio primo autoritratto e le rune). Le lacrime nere, i lightpainting, i mossi, gli effetti soffusi e i colori sono tutto ciò che ho realmente costruito e posizionato davanti la lente pochi secondi prima dello scatto. Niente fotoritocco, niente esposizioni multiple, niente flash. Solo un click».

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