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Scatti dallo stile cinematografico che rapiscono

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Pierpaolo Maso è un fotografo professionista che ha dato vita alla sua carriera artistica grazie alla passione, al costante studio ma soprattutto grazie al suo innato talento.

Ciao Pierpaolo, raccontaci un po’ chi sei.
«Descrivermi in poche parole mi sembra difficile, ma ci provo: Sono Pierpaolo, il mio percorso artistico inizia a Venezia con la decisione dopo le superiori di andare all’Accademia delle belle arti, dopo la laurea triennale mi iscrivo all’ISFAV a Padova per migliorare la mia tecnica fotografica. Già durante l’esperienza universitaria lavoravo nel settore fotografia, poi ho continuato il mio percorso artistico tenendo sempre presente di avere un timbro e cercando di distinguermi dagli altri cercando di creare atmosfera con i miei scatti. Ora posso dire di sentirmi un fotografo al 100%, però sono sempre alla ricerca di stimoli e di miglioramento».

Perché hai deciso di dedicarti alla fotografia e come sei diventare fotografo professionista.
«Quando nel 2010 presi in mano una macchina fotografica capii subito fosse amore a prima vista, è stato un colpo di fulmine; da piccolo facevo nuoto agonistico e sinceramente pensavo molto poco al mio futuro lavorativo e subito dopo le superiori per “sfizio” comprai una macchina fotografica per girare dei video ad un amico, ecco quella è stata la mia fortuna: averla acquistata. Il percorso per diventare professionista è arduo e pieno di insidie che si sono palesate a me sotto forma di domande (“Sono adatto per questo lavoro?”, “Ho carattere e volontà per farlo?”) quindi negli anni mi sono spinto a provare altri lavori che nulla hanno a che fare con la fotografia, questa cosa mi ha aiutato a capire quanto valesse per me il fare ciò che mi piace e ciò per cui mi sento più portato. Poi ovviamente il professionismo non lo si ottiene solo così, ma curando tutti i dettagli: dalla presenza durante il servizio al rispettare le consegne, ecc…
Ma queste cose si ottengono con la determinazione nel fare questo lavoro, se questa fosse mancata non sarei qui oggi».

Che genere fotografico prediligi e quindi ti senti più a tuo agio.
«Come genere fotografico preferisco lo stile cinematico (uno stile simile a quello dei film), dove posso essere abile a scegliere con chi scattare, dare suggerimenti sulla location e poter prendere in mano la situazione, o quantomeno quando scatto su commissione mi danno carta bianca. Certamente non è sempre così ma sono uno che sa adattarsi e cerco sempre di dare il massimo con quello che ho. Quando scatto per me stesso cerco sempre di usare luci naturali, rafforzate da una ricerca di una location naturalmente minimal con pochissimi fronzoli».

Quanto per te è importante la tecnica nel tuo lavoro.
«La tecnica secondo me è essenziale: se non conoscessi la tecnica fotografica e non l’avessi sperimentata non potrei arrivare ai miei scatti, come se non conoscessi le potenzialità del mezzo fotografico non potrei sfruttarlo».

Hai vinto diversi premi in campo artistico, se ci racconti quali sono e come sei arrivato a questi risultati.
«Nel 2020 ho vinto il Premio Nocivelli per la sezione fotografia ed anche un importante premio dalla Regione Veneto sempre legato alla fotografia.
Gli aneddoti sono negli scatti, più che nei premi (dato che i concorsi avvennero in pieno lockdown, uno preparato, mentre l’altro è venuto cogliendo l’attimo: La storia del primo scatto, che mi fece vincere il Premio Nocivelli, intitolato “Cinematic Distributor” era molto singolare: uscii di casa sulle 21 in una fredda serata di inizio gennaio per trovarmi con un amico, quando mi fermai per rifornire l’auto presso una stazione di servizio venni completamente investito da un banco di nebbia fitta, contemporaneamente il mio amico mi telefonò dicendomi che aveva un contrattempo, quindi restai a fotografare questo distributore svariate ore finchè non raggiunsi uno scatto che esprimesse ciò che volevo: un gioco di luci al quale si potevano dare milioni di interpretazioni.

La storia del secondo scatto denominata “Ghost 1” invece era molto più semplice ma preparata; quell’anno persi mio padre e la mia vita cambiò radicalmente, alle scomparse premature non siamo mai preparati quindi decisi di imprimere su foto tutto ciò. Iniziai a fare delle prove con degli autoritratti, ma non potevo controllare perfettamente la camera mentre scattavo in più ero avvolto in un lenzuolo, così chiesi ad amici di fare da modelli in modo tale da potermi concentrare su luci ed ambientazioni».

Hai realizzato scatti anche per cantanti italiani, come ci si organizza per set così importanti.
«Questa è la domanda più tosta di tutte: quando lavori con gente famosa devi non solo essere professionista nello scatto, ma dal comportamento esemplare, essere disciplinato e non invadente. Molte volte poi con loro è prestabilito il tipo di scatto che andrai a produrre e devi essere abile ad inserire il tuo timbro e soprattutto devi essere abile a tirar fuori il meglio nel minor tempo possibile».

Osservando le tue fotografie non possiamo fare a meno di notare la scelta di adottare tonalità scure, come se l’immagine fosse sottoesposta ma al cui interno sono rivelati dettagli e colpi di luce. Come nascono questi tuoi scatti e se c’è dietro un messaggio ben preciso.
«L’ispirazione per la mia color avviene ormai nel lontano 2013 guardando un pomeriggio il blue ray di 007 credo “Quantum of Solace”. Non perchè il film mi piacesse, ma perchè trovai audace la scelta dei colori che si chiamava “till and orange”. 
Da quel giorno aprii il programma lightroom e cercai tutorial per arrivare ad una colorazione simile, come sempre ci andai vicino e poi “smanettando” feci il resto, purtroppo o perfortuna, non per tutti gli scatti il mio procedimento era lo stesso ed ogni anno la mia impostazione di color si evolve. Diciamo che per arrivarci mi devo concentrare tantissimo sui dettagli, le sfumature, il colore delle ombre e delle luci, è come un gioco».

Se hai mai dovuto fare scelta difficile da quando hai iniziato il lavoro di fotografo.
«La scelta più difficile che ho dovuto fare in questo mestiere era iniziare e tenere duro: quando ho deciso di fare il fotografo avevo poche commissioni, forse una la settimana e non troppo remunerativa, mentre quasi tutti i miei coetanei lavoravano e godendo di uno stipendio fisso potevano permettersi di cenare fuori o togliersi qualche sfizio.Fortunatamente questa professione e la passione poi nel tempo mi ha restituito tutto con gli interessi».

Il tuo sogno artistico e cosa vedi nel tuo futuro.
«Il mio sogno artistico è molto ampio e sarebbe banale dire che un giorno vorrei essere riconosciuto come un fotografo che si è distinto per un certo stile di foto.
Mi piacerebbe molto dar vita a uno stile e mi piacerebbe molto pubblicare un libro di mie foto, nell’immediato ambirei ad avere una personale in un museo importante».

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