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Un’insaziabile curiosità artistica che scorre in ritratti immortali

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Oriana Majoli è una fotografa che lavora principalmente in studio, ama usare la camera oscura e sperimenta con l’uso di materiali “vivi”.

Breve presentazione.
«Sono Oriana Majoli nasco nel 1979 nel sud Italia, in provincia di Salerno. Ho iniziato, da autodidatta, con il disegno e la pittura provando da subito interesse per la ritrattistica e il nudo.».

Come è nata la passione per la fotografia.
«L’interesse per la fotografia direi che c’è sempre stato e in tutte le forme. La passione, invece, si è accesa più tardi, quando con macchine analogiche di ogni tipo e attrezzatura ereditata da mio padre, ho iniziato a vivere in modo ludico e viscerale le emozioni prodotte dalle affascinanti atmosfere inattiniche della camera oscura e quando, più di recente, ho provato il divertimento della sperimentazione con i materiali oggetto delle mie ricerche».

Con quale genere fotografico preferisci esprimerti?
«Sicuramente il Fine Art è il genere che amo e in cui mi muovo con più naturalezza. Altrettanto si può dire del nudo e del ritratto, eseguiti con ogni tipo di attrezzatura. Mi piace poi essere spettatrice di reportage di ogni genere, street e di fotografia analogica di grande formato. 
Per contro, mi sento molto meno attratta dai generi fashion, glamour e beauty».

Come nascono le tue fotografie.
«Le mie fotografie nascono sempre da visioni notturne oniriche e ispirazioni lucide diurne, che al momento giusto si condensano e mi liberano in un personale “delirio parallelo” che poi diventa progetto, scritto, disegnato, provato e infine realizzato. E spesso, l’opera ultimata, va ben oltre lo scatto, richiedendo ancora tanto lavoro di preparazione e manipolazione.
La location e l’attrezzatura vengono decise in fase di scrittura, perché sono strumenti assolutamente indispensabili per la narrazione e quindi sono funzionali e conseguenti, non dissociati e precedenti».

Come si realizza secondo te la serie perfetta?
«Non credo esista la serie perfetta.
Sono certa, invece, che esista la serie che dona all’autore una sensazione di appagamento e di completezza pur non essendo perfetta. 
E per avere questa caratteristica, è necessario innanzitutto che avvenga “l’incantesimo solenne”, che ci sia rapimento, e poi è necessario che la serie sia la forma ultima di un progetto ben studiato, con solide fondamenta concettuali, riferimenti storico-artistici ricercati, sperimentazione della tecnica, dedizione totale e controllo maniacale di ogni piccolo e apparentemente secondario dettaglio».

Cosa non deve mai mancare nel tuo zaino da fotografa.
«La fotografia che sto facendo da anni avviene in studio o in altre location adibite allo scopo, per cui, il concetto di “zaino”, per come lo intendo io, non mi appartiene molto. Quando vado in giro, per assicurarmi la prontezza e l’immediatezza di scatto, non posso fare a meno sicuramente dello smartphone che spesso mi capita di abbinare alla reflex e di accompagnare con una polaroid o una toy-camera quando so che dal luogo che sto per visitare, potrei cogliere e portare con me atmosfere analogiche pittoriche».

Stai lavorando a qualcosa in particolare?
«Ho due progetti già pronti. Il primo dei due è “In Sanguine” che spero di realizzare al più presto».

Una curiosità prima di lasciarci.
«Porto sempre con me il mio taccuino nero, perché l’ispirazione può arrivare in ogni momento della giornata e ho bisogno di lasciarne traccia sulla carta, dato che un appunto digitale non mi dà la stessa sensazione. Fino ad ora ne ho riempiti tre, e sono dei feticci a cui sono molto affezionata perché racchiudono tutto il mio percorso, dai primi approcci insicuri ad oggi: dati tecnici, stesure concettuali dei progetti realizzati e di quelli momentaneamente accantonati, schizzi delle scene, elenco di attrezzature necessarie e di materiali per i vari set, citazioni, elenco delle peculiarità ricercate nei miei preziosi interpreti e tutti i dettagli utili a valorizzare le loro performance una volta scelti, studio dei materiali utilizzati per le manipolazioni e tanto altro. Sfogliarli di tanto in tanto, mi dà una grande forza e mi incoraggia e superarmi ogni volta nella ricerca che conduco e nella difficoltà di realizzazione di un progetto, per accrescere la mia esperienza e migliorare il risultato».

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