Ludovico Pincini, ha 25 anni ed è un Communication Designer di Milano… In questa intervista ci parla del suo lavoro e di cosa vuole comunicare con il suo stile.
Quali studi hai fatto?
«La mia formazione accademica ruota principalmente attorno al Politecnico di Milano. Ho iniziato con la Laurea triennale in Design della Comunicazione, che ho conseguito con lode nel 2015. Poi ho proseguito laureandomi con lode nel corso magistrale sempre in Design della Comunicazione al Politecnico di Milano. Parallelamente ho frequentato il biennio dei corsi multidisciplinari dell’Alta Scuola Politecnica, ottenendo nel 2017 il Diploma ASP e nel 2018 la la Laurea magistrale con lode in Design Sistemico al Politecnico di Torino. Da ultimo, ho frequentato un master executive di POLI.Design sul service design e sulla user experience. Ad alcuni potrà sembrare una lista lunga, ma d’altronde nel mio campo non si smette mai di imparare».
Raccontaci il tuo percorso professionale…
«Fin dall’ultimo anno della Triennale ho sempre lavorato come graphic designer freelance, continuando ad affiancare agli studi successivi l’attività di progettazione e consulenza grafica per privati, aziende e startup. Nel 2017 ho fatto un internship come grafico nella fucina creativa di Fabio Rotella, e successivamente ho fondato a Milano lo studio “LP Design”. Attualmente sono in fase di espansione e sto costituendo, insieme ad altri colleghi designer, uno studio associato di graphic & product design».
Parlaci del tuo stile grafico.
«Il mio stile progettuale rispecchia molto la mia personalità: è uno stile pulito, preciso e rigoroso, ma che ricerca sempre un carattere forte e mai banale. Punto ad ottenere queste caratteristiche giocando sulla semplificazione, sul non detto e sulle tensioni visive tra gli elementi piuttosto che sulla complessità. Se dovessi trovare degli stili che mi hanno ispirato, potrei dire di sentire su di me l’influenza della precisione della grafica svizzera e la geometricità del Bauhaus, riviste però secondo i mezzi digitali e soprattutto i trend visivi del giorni nostri».
Qual è il “materiale” grafico che ti da più soddisfazione progettare?
«Decisamente i layout, sia cartacei che digitali. Per via, di nuovo, della mia passione “compositiva” nel creare equilibri o disallineamenti tra gli elementi, e generare le tensioni giuste che rendono interessante una messa in pagina. Sia che si tratti di progettazioni editoriali, sia che si tratti di comporre layout digitali per interfacce o siti web. Quest’ultimo caso, ovvero la progettazione di GUI (graphic user interface) è forse ancora più stimolante per me perché oltre al carattere compositivo si aggiunge anche l’elemento di progettazione dell’usabilità dei percorsi di fruizione dal lato dell’utente».
Quanto influenzano su un prodotto le scelte grafiche che un brand o un’azienda fa?
«Influenzano per una buona misura. Poi dipende anche dal tipo di prodotto di cui stiamo parlando e qual è il vettore del valore che fa sì che un prodotto venga acquistato o meno. Ci sono prodotti in cui il packaging è una variabile d’acquisto fondamentale, che influenza fortemente il grado di competitività sul mercato e che spesso determina il successo o il fallimento, e prodotti invece in cui la reason why dell’acquisto dipende poco dalla grafica che “veste” il prodotto. Pensiamo ad esempio a un articolo tecnologico come la scheda madre di un computer: il cliente tipico, un po’ nerd, guarda poco alla grafica e più alle specifiche tecniche».
Qual è lo sbaglio da evitare assolutamente nel tuo lavoro?
«Non considerare i (tanti) vincoli che un progetto di design deve, prima o poi, affrontare. Vincoli di ogni tipo: vincoli tecnici e produttivi; vincoli economici riguardo la fattibilità e la sostenibilità di quanto progettato; vincoli legali, dal momento che non bisogna infrangere né intenzionalmente né accidentalmente diritti d’autore o di proprietà industriale di altri autori; e non da ultimo i vincoli che a vario titolo il cliente impone per necessità personali. Il design non è creatività senza confini, anzi, il buon design è quello che anche in uno spazio ristretto e vincolato trova soluzioni innovative e strategicamente efficaci per superare tutti questi ostacoli».
Quali sono i tuoi progetti in corso?
«Ho lanciato da pochissimo una startup che ha a che fare più con l’arte che col design. Si chiama “Wallabe” ed è una art gallery digitale in cui vengono vendute tele (canvas) di illustrazioni che hanno un significato profondo relativo a temi caratterizzanti della società moderna. Per citarne alcuni: illustrazioni parodiche che fanno riflettere sul distacco dall’arte classica, luoghi comuni che vanno dal mondo del design a quello del trading finanziario, fino ad una emblematica collezione di bulldog tutta da scoprire… Sono tele all’apparenza ironiche e leggere, ma che nascondono, se ci fermiamo a riflettere, una denuncia sociale e un messaggio forte. Lascio alla vostra curiosità eventuali approfondimenti: è tutto pubblicato e disponibile su www.wallabe.it e sulla nostra pagina Instagram (@wallabe.it). Sarò di parte, ma secondo me le illustrazioni valgono lo sforzo di dare un’occhiata.»
Qualche curiosità su di te?
«Mescolo il caffè con il cucchiaino al contrario (hai capito bene, con la parte del manico e non con quella a paletta). E anche questa a suo modo è una scelta “di design”, ovvero una scelta funzionale e che oltrepassa creativamente certi vincoli. Mescolare il caffè con la parte a paletta del cucchiaino rovinerebbe la crema e non permetterebbe di gustare il caffè al meglio. Qui però stiamo sconfinando nel food design, ne parliamo un’altra volta…».
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