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Un tratto unico e la passione per l’arte giapponese

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Marco Codolo in arte Cheyos è un illustratore dalle grandi doti comunicative e artistiche. Il suo è uno stile ben definito, ama la cultura giapponese e si rilassa cucinando.

Breve presentazione.
«Mi chiamo Marco Codolo, in arte Cheyos. Sono nato in Friuli e cresciuto in Veneto. A 19 anni sono andato a Londra dove ho vissuto per i successivi 5 anni. Ora vivo a Verona, città meravigliosa che mi ha accolto da ormai tre anni. Nonostante la mia indole creativa, il mio percorso di studi si è fermato al liceo sociale e ho proseguito solo come autodidatta nell’ambito artistico».

Quando hai deciso di dedicarti all’illustrazione?
«Ho sempre disegnato, nonostante in adolescenza io abbia frequentato molto di più gli ambienti letterari, ho anche autopubblicato un libro durante gli ultimi anni delle superiori, a cui sono seguiti alcuni reading nelle zone limitrofe alla città. Ho accantonato il disegno per molti anni, probabilmente in quel determinato momento non sentivo l’esigenza e la necessità di comunicare con l’arte visiva: volevo scrivere, parlare, raccontare e raccontarmi, mettermi a nudo. Poi, tornato da Londra, in un periodo in cui ero moralmente e fisicamente a terra, ho riscoperto l’illustrazione in una chiave completamente nuova. Nel 2016 ricordo di aver passato una notte particolarmente pensierosa e difficile; ricordo un foglio bianco sulla mia scrivania, una lampada accesa che lo illuminava. Sei ore dopo, con il sorgere del sole, il foglio non era più bianco: avevo fatto la mia prima illustrazione. Ovviamente avevo già disegnato, ma mai con la presunzione e l’estro di comunicare qualcosa. In quel preciso istante ho capito che volevo dedicare la mia vita, o almeno una grossa porzione di essa, all’arte».

Il tuo è uno stile ben riconoscibile, un’ottima cosa se sei un artista… come sei arrivato a questo risultato?
«Sono d’accordo, uno stile e un tratto ben preciso sono importantissimi per un artista. Possiamo considerarli come una firma, un marchio di riconoscimento. Ho sempre disegnato usando tratti grossi e colori scuri, anzi, per molti anni i colori non li ho proprio toccati. Da ragazzino avevo un tratto molto più punk, senza troppi fronzoli o dettagli mentre ora i particolari e la cura di essi sono parte integrante e fondamentale della mia ricerca. Quello che è rimasto, però, è il tratto. I contorni che racchiudono le mie illustrazioni sono rimasti pressoché immutati, ciò che è cambiato e si è elevato a un nuovo livello è il contenuto. Ho sempre amato l’arte e la cultura giapponese, dalle tradizioni folkloristiche, agli Yōkai, le leggende che hanno poi ispirato vari mangaka e quindi vari manga che ho adorato e che seguo tuttora con passione. Nell’ultimo anno e mezzo ho unito il mio tratto e le mie idee all’arte giapponese e il risultato mi ha reso molto felice: c’è stata una grossa evoluzione nelle mie illustrazioni. A volte mi sembra di essere un contenitore con varie sostanze all’interno, alcune che si mischiano dando vita a qualcosa di nuovo, altre che si toccano o galleggiano una sopra l’altra come acqua e olio. Sto quindi imparando a dosare queste sostanze, per non riversare tutto sul foglio senza criterio».

Tre aggettivi per descrivere il tuo stile.
«Non è facile, eh! Il rischio di sembrare dei palloni gonfiati è alto, ma definirei il mio stile grafico così: ibrido, dettagliato e d’impatto».

Come nascono le tue opere e cosa ti piace raffigurare.
«Amo disegnare cuori e cervelli anatomici, volti femminili e divinità diverse contaminate e mixate tra loro. I miei soggetti preferiti, tuttavia, sono gli animali, la reinterpretazione e umanizzazione delle loro figure – per esempio, una scimmia aviatore o una rana sciamano. La creazione di una mia illustrazione è un processo lungo, la maggior parte del tempo viene spesa sulla ricerca del soggetto, un utilizzo saggio delle reference che per me rimane essenziale. Non ho la presunzione di saper disegnare a memoria il picchio dagli occhiali della foresta del Borneo quindi, se ho voglia di raffigurarne uno, vado a cercarmi fotografie in alta risoluzione, illustrazioni, dipinti ad olio e metto insieme il tutto trovando la mia visione del soggetto, le mie linee, i miei colori e, soprattutto, la mia rielaborazione. Alla fine di questa digestione, ciò che rimane sul foglio è la mia idea, nuova e unica, ma elaborata partendo da solide basi. La cosa migliore e più interessante è che grazie a questa continua ricerca il disegnatore può apprendere molto, aggiungendo al suo arsenale immagini che non avrebbe mai neanche immaginato. Se dovessimo disegnare solo ciò che abbiamo visto di persona con i nostri occhi allora le nostre illustrazioni sarebbero, man mano, sempre più banali e scontate. Io odio la banalità. Voglio vedere più figure possibili, voglio cibarmi delle illustrazioni dei maestri e rielaborare tutto ciò che vedo e leggo con il mio tratto distintivo. D’altronde i maestri sono fatti per essere mangiati, come ci insegna Pasolini nel film “Uccellacci e uccellini”»

Tu collabori con la rivista culturale “Intermezzo” e con la realtà “To Groove“, raccontaci di più.
«Ho cominciato a collaborare con la rivista culturale “Intermezzo” nel luglio dell’anno scorso. Sono stato contattato da loro, mi hanno raccontato della loro realtà e di ciò di cui si occupano, dall’arte emergente agli inediti di prosa e poesia, dagli approfondimenti culturali alla critica letteraria. Ne sono rimasto colpito da subito, nei mesi successivi abbiamo associato alcune mie illustrazioni ad articoli e racconti scritti da autori giovani e incredibilmente bravi. Nel gruppo ci sono scrittori, poeti, illustratori… Andate a dare un’occhiata! A settembre dello stesso anno, invece, ho conosciuto Sonia: parlare di lei e parlare di To Groove è la stessa identica cosa; To Groove è una realtà urbana che racconta uno spaccato di cultura, è musica, abbigliamento, ritmo. Anche in questo caso sono stato contattato direttamente da loro, Sonia ha adocchiato alcune mie grafiche ma, in generale, ha adocchiato me e ha intuito la bella collaborazione che ne è poi seguita. Grazie a loro ho potuto vedere dei miei disegni prendere una nuova vita su tessuto, ho visto persone indossare giacche, maglie e felpe con la mia firma sopra. Questo è impagabile e loro sono una vera e grande famiglia, è una bellissima esperienza che continuerà ancora per molto, molto tempo».

L’arte è tra i settori più penalizzati in questo momento, tu come l’hai vissuto e cosa ne pensi.
«Devo dire la verità, per me è stato l’esatto opposto. Prima della pandemia ero il responsabile in un negozio di dolci e alimentari e la mia vita era dedicata quasi esclusivamente al lavoro, con tutto il nervosismo che ne conseguiva. Disegnavo solo ogni tanto, alla sera, quando non ero troppo stanco. Non avevo modo di dedicare alla mia passione il tempo necessario per nutrirla e coccolarla. Il negozio ha chiuso i battenti durante la prima ondata, sono poi diventato un magazziniere in un negozio di cosmesi e cura della casa finendo di nuovo senza lavoro con la seconda ondata. Dopo un primo momento di sconforto (ero vicino al tanto agognato contratto a tempo indeterminato) ho ricominciato a dedicare il giusto tempo al disegno. La mia compagna è stata essenziale in questo, mi ha spronato e aiutato a rimettermi in piedi e a provarci veramente. Inspiegabilmente, il primo ciclo di stampe di quel periodo è stato il più venduto della mia breve carriera. Un sacco di persone da tutta Italia, conoscenti e non, amici di amici, gestori di ristoranti e attività commerciali hanno comprato la mia arte. All’ufficio postale vicino casa erano quasi stufi di vedermi, spedivo stampe e contemporaneamente avevo l’impressione di spedire pezzi di me. Ovviamente le vendite e le commissioni salgono e scendono in base al periodo, non ho ancora abbastanza schiena da mantenermi con tranquillità solo con il disegno, ma ora ho una buona base che mi permette di dedicare gran parte del mio tempo libero all’illustrazione, alla ricerca, allo studio e all’allenamento».

Cosa non deve mai mancare mentre lavori?
«Musica o una serie tv/film di sottofondo, preferibilmente qualcosa che ho già visto centinaia di volte (sono maniacale in questo) in modo da poter seguire solo con le orecchie e tenere gli occhi sullo schermo, con brevi pause per i momenti clou. Poi sicuramente Kim, la mia gatta, che prova un enorme piacere nel disturbarmi e mordicchiare gli angoli del portatile».

Progetti in corso o che vorresti realizzare in futuro?
«In cantiere ci sono alcune collaborazioni con altri illustratori veramente validi, a breve vedrete la prima di queste collaborazioni, ma per ora non anticipo nulla. Poi c’è un bel progetto musicale per delle copertine Spotify e una mostra personale a Verona, ovviamente quando sarà possibile realizzarla in sicurezza. Il mio obiettivo principale per il futuro prossimo è la realizzazione di un libro illustrato sugli animali, sui miei animali. Il materiale c’è, deve solo essere riordinato e sistemato, avrò sicuramente un bel lavoro da fare, ma ci tengo molto, spero di potervelo mostrare presto».

Una curiosità prima di lasciarci.
«Quando sono nervoso cucino, mi innervosisco anche abbastanza facilmente quindi il frigo di casa è sempre pieno di contenitori vari con dentro qualsiasi cosa, dal brodo ad una lasagna. Del freezer non ne parliamo».

I link dell’artista

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