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Concerto

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Michelangelo Merisi detto Caravaggio, olio su tela, 1595 (New York- The Metropolitan Museum of Art)

“L’inizio è la mia fine e la fine è il mio inizio. Perché sono sempre più convinto che è un’illusione tipicamente occidentale che il tempo è diritto e che si va avanti, che c’è progresso. Non c’è. Il tempo non è direzionale, non va avanti, sempre avanti. Si ripete, gira intorno a sé. Il tempo è circolare. Lo vedi anche nei fatti, nella banalità dei fatti, nelle guerre che si ripetono”.

Tiziano Terzani

Dopo oltre due anni di chiusure è terminato lo stato di emergenza, che ci ha resi vittime inermi dell’imprevedibilità. Sembra assurdo, ma gli atti e i provvedimenti presi dalle istituzioni nazionali, per affrontare l’emergenza del coronavirus, sono stati in tutto ben 914. Molti di noi non si sono mai arresi,  e hanno continuato a partecipare a manifestazioni pubbliche di vario tipo come concertini in piazza, spettacoli teatrali, sempre però nel rispetto delle norme vigenti come il distanziamento e l’utilizzo instancabile della mascherina.

Quello che però davvero è continuato a mancare, è stato il senso di libertà tout court. L’idea di accalcarci senza paranoie, ansie; l’idea di riaprirci ad una più autentica normalità. Possiamo con certezza affermare, che questo è davvero mancato. Probabilmente manca ancora, poichè senza rendercene conto abbiamo sviluppato diverse psicosi e paure verso il futuro.

La cesura con il passato inaugurata dai governi tecnocratici, rischia di trasformarsi in un nuovo “anno zero” che ignora la storia. Come ben afferma il giornalista Tiziano Terzani, esiste una convinzione secolare che il tempo rappresenti una sorta di linea dritta senza ritorni, e che ci condizioni in automatico a proseguire dritto, ad andare sempre avanti come automi. Nulla di più sbagliato.

Il rapporto con il nostro passato è al contrario sempre vivo e acceso, tangibile nei gesti, nelle emozioni, nella contemporaneità di certi comportamenti o atteggiamenti umani. E a questo proposito, per quest’ultima rubrica estiva, vi voglio riportare ancora per una volta, nel fantastico mondo di Michelangelo Merisi, più comunemente conosciuto con lo pseudonimo di Caravaggio. 

Osservando attentamente i suoi quadri, ci sembra di subire una specie di sbandamento spazio-temporale. I suoi personaggi sono talmente contemporanei, veri, spontanei che risulta quasi difficile ammettere che ci sia una distanza temporale che ci separa da loro. Obiettivamente noi siamo lontano, distanti in senso spaziale, e i musei dal canto loro non hanno fatto altro che accentuare questa distanza.

Distanza che però nei fatti non sussiste affatto. 

“Concerto” è un’opera di Caravaggio realizzata nel 1595, conservata nel Metropolitan Museum of Art di New York. Osservando questi eleganti musici, tornano in maniera spontanea alla mente, i numerosi artisti dei nostri tempi, intenti a sistemarsi e prepararsi per un concerto.

“Concerto”, Michelangelo Merisi detto Caravaggio, 1595 olio su tela (New York- The Metropolitan Museum of Art)

La spensieratezza dei volti non lascia spazio per le ansie, i timori, le paure che certamente anche allora angosciavano le genti. Il XVII secolo è stato infatti il secolo della peste, qui siamo sul finire del XVI, ma già diverse epidemie di peste avevano messo a dura prova alcune città italiane.

Tra i flagelli più tremendi che abbiano mai colpito l’Europa, vi fu certamente quello della peste, periodi bui ai quali seguivano ritorni alla normalità e alla spensieratezza. I musici si stanno preparando per il loro concerto, i loro animi non appaiono turbati, contaminati, e i gesti risultano spontanei, veri, autentici, dettati da un assoluto equilibrio. Tra l’altro la loro ambigua femminilità ci conduce verso i confini inesplorabili della passione, cosa che entra in contrasto con l’ambiente integerrimo ecclesiastico. Caravaggio viene infatti accolto a Palazzo Madama,  da Francesco Maria del Monte e per lui dipinse “una musica di alcuni giovani ritratti dal naturale assai bene”, come testimonia Giovanni Baglione pochi anni dopo la morte dell’artista.

Dunque un’opera che possiamo definire magistrale, un vero e proprio “inno al piacere” tra Amore e Musica. Piacere che noi oggi abbiamo quasi dimenticato, accantonato, non solo a causa della pandemia ma anche a causa dell’utilizzo smodato dei social, i quali si sono lentamente insinuati nelle nostre vite e filtrando le nostre passioni. Le foto di uno smartphone, non potranno mai sostituire lo sguardo di un pittore o di un fotografo. Di conseguenza ciò che c’è di più intimo e vero rimarrà sempre nascosto. Non ci resta che riflettere davvero sulle nostre “emozioni contaminate” non più spontanee e soprattutto realmente sentite e vissute. Ben presto come afferma Terzani, sentiremo il bisogno di tornare a un passato autentico, seguendo il naturale movimento ciclico del tempo.

a cura di Maria Rosaria Cancelliere

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