cop-Paola-Tornambè

Una fotografia dal linguaggio pittorico che racconta il tempo

Condividi su
Paola Tornambè è una fotografa professionista, i suoi scatti sono apprezzati per la loro unicità e le sue creazioni vengono esposte in mostre e pubblicate su riviste di fotografia e d’arte italiane e internazionali.

Breve presentazione.
«Piacere: mi chiamo Paola Tornambè e sono una fotografa e visual artist. Lasciatemi intanto ringraziarvi per avermi ospitato su Altro Spazio D’arte. In breve vi posso dire che i miei lavori sono presenti su diversi siti e riviste di fotografia e d’arte italiani e internazionali. Che sono finalista nazionale alla biennale MarteLive ed espongo regolarmente in Italia e all’estero le mie fotografie. E ora conosciamoci meglio con questa intervista…»

Come è nata la tua passione per la fotografia e se hai seguito un particolare piano di studi.
«E’ una passione che mi appartiene da sempre, anzi: direi che più che una passione è proprio un modo di essere. Io e la fotografia siamo una sola cosa, non potrei immaginare me stessa senza di lei. Mi ha insegnato mio padre quando ero molto piccola, ricordo ancora che mi faceva usare la sua vecchia Zenit, spiegandomi la messa a fuoco manuale a immagine spezzata e ricordo il piacere dello scatto meccanico rumoroso di quella macchina. E poi la cucina di casa dei miei genitori che diventava camera oscura: lo sviluppo dei negativi e le stampe vere e proprie che emergevano dalle bacinelle con gli acidi. Molti anni dopo ho frequentato una accademia di fotografia a Roma per imparare una tecnica che avrei completamente stravolto con il “mio stile” e, in ultimo ma non certo in ordine di importanza, ho studiato alla Adams di Roma con Simona Ghizzoni, a cui sono grata per aver saputo guidare il mio modo di fotografare, rispettandolo e al tempo stesso sapendolo portarlo a un maggiore livello di maturazione».

Il tuo genere fotografico è…
«E’ un genere tutto mio, fuori dagli schemi, che, se proprio devo, collocherei in un punto indefinito tra la fotografia concettuale, quella sperimentale surrealista e la fotografia Fine Art. Io uso lunghi tempi di esposizione che mi permettono un risultato di stratificazione d’immagine molto simile al linguaggio pittorico e mi consentono di raccontare il tempo e tutto un mondo di sensazioni e intuizioni pescate tra “il visibile e l’invisibile”. E’ sicuramente una fotografia introspettiva, spesso fatta di autoritratti e che indaga nell’onirico e nel poetico».

I tuoi scatti sono incredibili. Ci racconti come prendono vita?
«Intanto lasciatemi ringraziarvi. Sono davvero felice del vostro apprezzamento al mio lavoro. I miei scatti nascono da intuizioni, spesso da sogni e seguono poi la scia di un progetto che a volte è ben definito nella mia mente e altre volte, invece, si schiarisce strada facendo. La maggior parte dei miei scatti nasce con la macchina fotografica su cavalletto e l’impostazione di un tempo lungo (spesso lunghissimo) di esposizione, a cui si somma il mio movimento davanti la camera. Tutto il tempo che l’otturatore resta aperto, è per me il momento esatto di compiere la magia: i gesti si vanno a sovraincidere nel file, aprendo le porte ad un mondo altro… E’ una fortissima emozione. In molti scambiano le mie fotografie per doppie esposizioni, invece ci tengo a sottolineare che si tratta di unici scatti a tempo lungo, ottenuti direttamente in fase si scatto. Probabilmente la differenza estetica non sarebbe così rilevante, ma per me lo è concettualmente: io racconto il tempo».

Sempre parlando dei tuoi scatti, sono stati pubblicati su diversi siti e riviste di fotografia e d’arte (come ci hai accennato prima)… C’è un’esperienza lavorativa che porti particolarmente nel cuore?
«Così, senza pensarci, mi viene subito da ricordare una delle mia prime pubblicazioni. Si tratta di “Shots Magazine”: una rivista Fine Art del Minnesota, a cui avevo mandato una selezione di fotografie in bianco e nero, pensando fosse impossibile che le scegliessero. E invece, ricordo ancora che ero in viaggio in Slovenia, quando mi comunicarono che avevo vinto la pubblicazione. Tra l’altro è una rivista cartacea e quindi poi arrivò a casa la mia copia, e vedere le mie immagini stampate fu per me una grandissima soddisfazione».

Tu sei finalista nazionale alla biennale MarteLive ed esponi regolarmente in Italia, come si ottengono certi tipi di risultati?
«Come in tutti i lavori ci vuole costanza e perseveranza. Chi pensa che l’artista sia soltanto quello “scombinato” che lavora di notte e dorme tutto il giorno, si sbaglia di grosso. Ci vuole impegno, sacrificio, dedizione. Bisogna credere in quello che si fa ed essere disposti a dedicare ore del proprio tempo al raggiungimento dei risultati. Ci vuole anche organizzazione e una certa dose di rigore. Ho visto colleghi dotati di un talento immenso, perdersi nel loro essere “artisti” inaffidabili e bruciare occasioni importanti. Perciò io dico sempre che: sì ci vuole cuore, ci vuole verità nel proprio lavoro, ma anche tanto tanto impegno».

Cosa vuol dire secondo te fare fotografia oggi.
«Vuol dire avere il coraggio di esprimersi. Anche essere la voce fuori dal coro e fregarsene delle mode. Vuol dire essere ciò che si è. Solo esprimendosi liberi da condizionamenti e stili fotografici che, semplicemente, vanno di moda, secondo me si arriva a quella verità di risultato che poi riesce ad arrivare agli altri. Io credo di comunicare proprio non preoccupandomi di comunicare nulla. Non so se mi spiego… siamo sommersi da meravigliosi reportage sui problemi del Pianeta, siano pieni di fotografia sociale: che ben venga! Ma se quello che abbiamo dentro è altro, è totalmente inutile seguire “i generi” e le mode di oggi. Bisogna fotografare quello che veramente ci accende dentro, per arrivare gli altri. Per regalare anche semplicemente, un’emozione».

Stai lavorando ad un progetto particolare?
«Ho appena terminato un lavoro a cui tengo molto, nato da un sogno che feci ormai due estati fa e che mi ha portato in giro per le campagna siciliane, raccontando una leggenda legata alla notte e alle anime. Un lavoro molto suggestivo, di cui però non posso rivelarvi di più perché è ancora inedito… Infine desidero ampliare la mia esperienza tramite progetti editoriali a cui affidare i nuovi lavori».

Una curiosità prima di lasciarci.
«Vorrei raccontarvi l’evoluzione dalla fotografia in bianco e nero a quella a colori. I primi tempi ero fermamente convinta che avrei fotografato solamente in bianco e nero, reputando questo tipo di immagini più vicine a una certa dimensione onirica, sognante e poetica che sentivo di volere esprimere. Oggi posso affermare, invece, che la mia vita e la mia fotografia si sono tinte di un’esplosione di colori che forse rappresentano un’ulteriore astrazione dalla realtà rispetto al bianco e nero. Uso, con un segreto che non posso rivelare, direttamente in fase di scatto, dei colori surreali in grado di trasportare il fruitore nel mondo parallelo della mia interiorità e dell’immaginazione tanto quanto, o addirittura ancora di più, del bianco e nero. E, per aggiungere curiosità alla curiosità, presto non sarò più sola protagonista delle mie immagini, perché un ulteriore passaggio riguarda il transito dall’autoritratto al ritratto.Ultima, ma non ultima curiosità: per chi volesse vedere le mie opere dal vivo, mi troverete in esposizione ancora per pochi giorni (fino all’8 dicembre) alla Galleria La Nica di Roma, in via dei Banchi Nuovi. Vi aspetto…»

In copertina “Diventando quadro”, ph. by Paola Tornambè

I link dell’artista

Noi, ph. by Paola Tornambè

Scopri il video che le abbiamo dedicato

Comments are closed.