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Autoritratti nati dalla necessità di raccontare storie

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Stefano Tommasi, un fotografo che usa il mezzo fotografico per parlare senza dire e tutto rigorosamente in bianco e nero, il suo “colore” preferito.

Breve presentazione.
«Mi chiamo Stefano Tommasi, vivo perlopiù, sospeso tra un minuscolo e delizioso paese della Garfagnana (Vergemoli) ed un più grande borgo poco distante (Barga); entrambi in provincia di Lucca, Toscana. Il resto del tempo lo passo in giro per la penisola. I miei (pochi) studi accademici sono talmente distanti dalla mia vita attuale che non li ricordo più o comunque non hanno importanza. Ho 39 anni, ma non sempre».

Raccontaci il tuo percorso artistico.
«Non sono nato “con la camicia”. Nella vita, per necessità e un po’ per inconsapevolezza, ho svolto vari lavori. Fin quando mi sono reso conto che stavo sprecando il mio tempo e parallelamente iniziavo a sentire l’esigenza di esternare pensieri e visioni che erano sopiti e coperti dalla vita che mi era capitata. Il mezzo d’espressione fotografico è stato per me illuminante. Parlare senza dire. Così ho iniziato, formandomi per le conoscenze tecniche ma scostandomi dagli insegnamenti accademici, cercando la mia strada in forma di autodidatta. Le mie immagini nascono da ciò che leggo, ascolto, sogno; da ciò che vedo, respiro e tocco».

Come descriveresti il tuo stile fotografico?
«In genere non lo definisco. Mi pare di mettergli un collare, o delle mura attorno. Comunque sia, credo si possa trovar bene nella definizione di fotografia poetico/emozionale».

Osservando il tuo profilo si nota una predilezione per il bianco e nero, come mai questa scelta?
«Sì, amo il bianco e nero, principalmente perché lo trovo funzionale alle mie immagini. Il colore distrae da ciò che voglio comunicare. Ci sarebbe comunque da parlarne: il bianco e nero non è tutto uguale. Io ho impiegato anni per trovare il mio “colore”, che anche adesso cambia. È importante studiare, sperimentare, farsi consigliare, anche. Ed essere umili, sviluppando una buona dose di autocritica. Non abusare della tecnologia (parlando di fotografia digitale), ma servirsene nella giusta misura».

Quali soggetti preferisci?
«La mia ricerca è quasi totalmente basata sull’autoritratto. Ma inteso come traghettatore o attore in prestito per raccontare storie che non sono necessariamente le mie. Fotografare se stessi, usare il proprio corpo per comunicare, è spesso logorante. Occorre trovare un equilibrio tra corpo e anima. Quando penso e realizzo un autoritratto, aspiro a stimolare la mente e la sensibilità dell’ascoltatore (perché chi osserva un’opera, è un ascoltatore in primis).
Questo tipo di fotografia non può essere considerata una passione, ma una necessità».

Come nascono i tuoi scatti?
«Le mie immagini sono spesso “sospese” e invitano a ipotizzare un prima e un dopo. Solitamente in maniera istintiva, ispirate dai sentimenti».

Quanto è importante l’immagine oggi, secondo te?
«L’immagine è importante da sempre. Io trovo che ogni espressione artistica trasmetta un’immagine. Una musica te la fa apparire nella mente, così come una poesia e via dicendo. La fotografia può essere immediata o rimandare ad altre “visioni”. Più il messaggio è “potente”, meno parole servono per descriverla. Penso sia giusto ricordare a chi l’arte la produce, che non è un gioco, ma una responsabilità».

A quali progetti ti stai dedicando?
«Il mio ultimo lavoro “I sogni della Mente” è stato esposto a novembre con successo al Pan di Napoli https://www.comune.napoli.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/39285
Da questa mostra sta nascendo un nuovo lavoro che è la naturale prosecuzione del precedente».

Per concludere, raccontaci qualche curiosità
«Cerco sempre luoghi poco frequentati e stimolanti e sono sempre da solo quando mi fotografo.
Amo viaggiare in solitaria. Amo i treni soprattutto regionali o i treni notte. Il treno ad alta velocità è un aereo a bassa quota. Ho una moto vintage con la quale ascolto molto vento a lenta andatura. Odio le autostrade. Ho il terrore per gli aerei, che non prendo quasi mai, se non per lavoro o amore. Per questa paura, prendo in prestito una battuta di Billy Bob Thornton: “Ho smesso di viaggiare in aereo anni fa. Non voglio morire assieme ai turisti”».

Scopri il video dedicato all’artista

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